L'anello dei tre incanti

Lame Rosse, la grotta dei frati e la risalita del Fiastrone


Prologo


Tanti anni fa un mio caro amico originario di Camerino (Mc) mi parlò di un canyon incantato in provincia di Macerata, che si poteva visitare attraverso un percorso avventuroso. A giugno dell’anno scorso, dopo aver visitato le bellissime Gole del Lacerno in provincia di Sora, mi ricordai nuovamente dei racconti adolescenziali del mio amico. Ma fu un mese dopo, quando sui monti della Laga incontrai un gruppo di escursionisti marchigiani che avevano da poco visitato quei luoghi, che incominciai a desiderare di vivere quell’avventura. Gli amici incontrati alle Cascate dell’Ortanza infatti mi parlarono della bellezza delle Gole, delle Lame Rosse, delle “pisciarelle” e a giugno di quest’anno decisi dunque di abbinare questa escursione ad una doppia traversata dei Monti Sibillini con gli amici del club 2000. Tre giorni nel Parco dei Monti Sibillini: cosa potevo desiderare di più?


L’Ambiente


Il torrente Fiastrone nasce dalla Fonte del Fargno, tra il Monte Rotondo e Pizzo Tre Vescovi, nella parte settentrionale dei Monti Sibillini. Millenni e millenni fa, mentre le terre ed i monti intorno si alzavano lentamente verso il cielo, si è scavato un angusto passaggio nel cuore del durissimo calcare tra il Monte Fiegni ed il Monte Corvo, per confluire infine nel fiume Chienti. Nel 1954, proprio a monte della forra l’uomo ha di nuovo sbarrato il passaggio pazientemente scavato dal torrente, con una diga di 87 metri di altezza e lunga 254 metri nel livello superiore, per convogliare l’acqua (con un’ardita e sotterranea galleria di 9 km) alla centrale idroelettrica di Valcimarra, oltre il Monte Fiegni. Si è formato quindi il Lago di Fiastra, il lago artificiale più grande delle Marche. Un lago di color turchese che si sviluppa sinuoso per circa 5 km di lunghezza, con la sua caratteristica forma ad arco, incastonato tra monti e colline verdi, dove si nascondono piccoli e solitari paesi di pietra. A valle della diga il torrente si fa strada nella gola che porta il suo nome. Un luogo ombroso e suggestivo, tra alte pareti strapiombanti, che a tratti si toccano (l’acqua passa anche sotto un arco naturale). A destra e a sinistra pareti calcaree a picco sul fiume sono costellate di grotte che nei secoli hanno dato rifugio a eremiti, monaci e partigiani. Nella prima metà del secondo millennio alcuni ”fraticelli” francescani integralisti (Clareni), si rifugiarono nella più completa povertà in una grotta a mezza costa, sospesa sopra l’abisso della forra, per difendersi dalle tentazioni. Più in alto la natura si è sbizzarrita lasciando affiorare tra i fitti boschi di lecci, strati di ghiaia rossa che, con l'erosione provocata dalle piogge e dai venti, hanno formato suggestivi picchi e pinnacoli dal colore rossastro, che sembrano sospesi nel nulla. Le suggestive e surreali Lame Rosse. Paragonabili alle più note piramidi di terra del Trentino, si caratterizzano per il colore rosato che spicca nel verde della lecceta; infatti le Lame Rosse sono formate da detriti agglomerati di scaglia rossa profondamente incisi dall’erosione delle acque meteoriche, a cui crostoni calcitici, fungendo da cappello, hanno fatto assumere forme a fungo, a torre panciuta o simili ad altre curiosissime figure animali. Le Lame Rosse sono caratterizzate da strati di roccia privi della loro parte superficiale. Per questo motivo il substrato di ferro è in vista. Gli agenti climatici infatti, attraverso una lenta erosione lunga milioni di anni, hanno causato la perdita della parte calcarea della montagna che si è frantumata e depositata sul terreno andando a creare un lungo ghiaione.


Primo Incanto – Le Lame Rosse


Organizzo dunque per venerdi 26 giugno insieme ad un amico di Ostia che però, per un problema di salute, all’ultimo momento darà forfait. Dunque sarà un altro percorso in solitaria in un luogo che non conosco e senza ausilio satellitare. Mi baserò sul minuzioso studio del percorso, sulla cartina e sulla segnaletica che sembra essere abbondante. L’ appuntamento con il resto della compagnia sarà alle ore 18.00 a Foce per dirigerci al rifugio Sibilla. Parto da Roma alle 6.00 in punto contando di essere al lago di Fiastra per le 10.00. Ma non ho fatto i conti con la bellezza della regione di cui sono originari i miei nonni. Mi fermo diverse volte per fare fotografie alle colline e ai monti Sibillini che cominciano a stagliarsi sullo sfondo fin dagli altipiani circostanti il paesino di Visso. Faccio una breve sosta al Santuario di Macereto, che è chiuso. Sono solo in quest’oasi di Pace, come sarò solo quasi tutta la giornata; scatto qualche foto al bel porticato che incornicia l’ampio manto erboso e riparto. Arrivato nei pressi del Lago di Fiastra, rimango subito abbagliato dal suo colore turchese acceso, fin dalla Strada Provinciale 98. Accosto nuovamente, quattro frecce e quattro foto. Proseguo fino al parcheggio a valle della diga (640m). Ore 10.40. Dieci minuti dopo, scarponi ai piedi e zaino in spalla. Dopo aver attraversato la diga dalla quale si gode una bella vista sul lago, percorro una piccola galleria sulla sinistra che immette nell’unico sentiero che conduce alle Lame Rosse (E2 o n. 335). Il sentiero, con alcuni punti panoramici sul Lago di Fiastra, mi porterà in 25 minuti alle Lame Rosse. Salgo per un breve tratto, prima di immettermi su una carrareccia proveniente da Ruffella, che a destra scende costeggiando il versante sinistro del Fiastrone. In breve giungo ad un prato circondato da un anfiteatro di rocce e boschi (Val di Nicola, 615 m). Superato il fosso, comincia un sentiero in salita (ignoro la deviazione a destra verso le gole del Fiastrone) che inizialmente tra prati e cespugli di ginepro, poi in una folta lecceta, si snoda ombroso, ben tracciato e in leggera salita, a mezza costa sullo scosceso versante meridionale del Monte Fiegni. Improvvisamente il fosso della Regina (m.775) appare come un fiume di ghiaia rosata, che scende dalle imponenti Lame Rosse. Qui la vegetazione si dirada, lasciando spazio ad uno degli spettacoli più surreali dei Monti Sibillini. In seguito un mio amico, guardando le foto, mi dirà che gli ricorda il Bryce Canyon nello Utah. Controllo su google: la somiglianza c'è davvero. A me ricordava di più certi paesaggi dell’Arizona, ma in ogni caso non ci si aspetta di trovare qualcosa del genere in provincia di Macerata! Non a caso le Lame Rosse sono state candidate a Patrimonio dell’Unesco. Mentre salgo la ripida salita di brecciato, mi incrocio con un gruppo Cai. Il tempo di farmi scattare un paio di foto e li vedo andar via, scendendo veloci lungo il brecciato. Ora rimango solo. Silenzio. Magia. Avverto il privilegio di poter godere di questo luogo incantevole in completa solitudine. Siamo io e loro, queste rocce strane, che sembrano essere state catapultate dallo spazio, chissà forse da Marte, il pianeta rosso. Un vero scherzo della natura. Mi perdo nei meandri, nei canali, nei canyon erosi, voglio perlustrarne ogni angolo, come avessi un'unica chance. In seguito scoprirò che questa sensazione ha una base scientifica, in quanto le Lame, nella loro fragilità, subiscono un forte fenomeno di erosione, per cui ogni anno sono leggermente diverse dall'anno precedente e la loro esistenza è davvero effimera, in quanto sono destinate ad assottigliarsi sempre più. Con un gioco di parole che rende omaggio a chi ospita questo resoconto, le definirei: Rocce sottili! Il tempo si è fermato. Mi arrampico nella parte più alta, su salite ripide, con grande sforzo per non scivolare sul brecciolino. Non posso fare a meno di scattare freneticamente decine di foto, alla fine saranno 140. Lascio alle foto il compito di mostrare i surreali contrasti cromatici. Come un pittore con una tavolozza di colori, l'ocra della roccia si staglia sul blu intenso del cielo macchiato da piccole nuvolette bianche, il verde scuro intenso dei lecceti circostanti a far da cornice in un gioco di esaltazione reciproca, dove ogni tonalità sembra essere stata scelta per far risaltare maggiormente le altre. Sono solo, ma è una solitudine dolce e feconda di profonde suggestioni spirituali. Meraviglia, gratitudine, gioia: sono proprio io qui, con questo cielo azzurro, l’aria fresca sulla pelle che stempera il caldo estivo, a godere di questa meraviglia della natura, che ci regala il nostro bel paese? …e mi sovvien l’Eterno… Un pensiero va al Creatore di tutto questo. Alla sua fantasia, e forse al suo senso dell'umorismo, quasi volesse ricordarmi che Lui non costruisce noiosi palazzi quadrati. Crea pinnacoli turriti di forme e colori insoliti e cangianti che mi ricordano figure animali: un gufo, un gallo, due gattini che si baciano. Ci sono anche le guglie di un monastero rupestre, mi sembra di distinguerle nettamente laggiù in fondo….ma… no, è ancora una volta l'illusione di queste insolite formazioni rocciose. Questo spettacolo è davvero un invito alla fantasia, allo stupore e alla bellezza che, essa sola, salverà il mondo, quando sapremo contemplarla proprio come meritano questi scenari. Quanto vorrei poter salire fin sopra e dominarle dall'alto! Massimo, amico mio, vieni qui col tuo aeroplano...adesso! Sorvoliamo questo paradiso terrestre come facemmo col Monte Soratte, e volando liberi nel cielo, ci inebrieremo di tanta bellezza. Ora comincio a ridiscendere lungo il brecciato, ancora nessuno all'orizzonte. Devo proprio andare? Vorrei rimanere qui, in questo paradiso incontaminato ma… Quanto tempo sarà passato? Mezzora? Riguardando le foto di arrivo e partenza, mi accorgerò che sono stato alle Lame un'ora e dieci! Sì, il tempo lì si era fermato, ma solo nell’animo mio. Sono le 12.43, quindi gambe in spalla e procedo spedito all'ombra dei lecceti, verso la Grotta dei Frati, mentre continuano a balenarmi davanti come abbagli, le immagini colorate delle Lame. Cammino veloce tra i lecci ancora a lungo sullo stesso versante del monte (ancora sul sentiero E2 o 335), supero alcuni brevi tratti di salita più ripida, con un affioramento roccioso molto panoramico, dove si sfiorano i 900 m di quota. Mi aspetta ora un percorso più impervio, soprattutto a causa della ripida e scorbutica discesa nel bosco, lungo il fianco della montagna. Devo fare attenzione a non scivolare e sono costretto a passare diverse volte sopra o sotto i tanti lecci abbattuti dalle frane, che sbarrano il sentiero. Dopo numerosi tornanti scendo rapidamente (segni rossi sugli alberi) fino ad un netto bivio con il sentiero pianeggiante che proviene da Tribbio (640 m). A destra il sentiero (indicato dalla segnaletica del parco con il numero 12) diventa più ampio e porta all’eremo dei fraticelli (o Grotta dei Frati), mentre a sinistra incrocia il sentiero che sale dal Fiastrone.


Secondo Incanto – Eremo dei Fraticelli


Qui il panorama è molto suggestivo ed emozionante poiché si affaccia sulla verde e rigogliosa vallata del Fiastrone, che percorrerò più tardi. La prima grotta che incontro è quella dell’Asino, attualmente utilizzata come deposito di materiali, e subito più avanti arrivo all’Eremo dei Fraticelli. Qui incontro due guardie forestali in pausa pranzo. Parliamo a lungo e piacevolmente di piante, animali, rifugi e del livello del fiume che è straordinariamente elevato da quando è stato abbassato il livello del lago. Uno dei due ha sentito parlare del Club 2000. Mi fanno notare che risalire il fiume Fiastrone sarebbe vietato, salvo permessi speciali. “Beh, io ho il vostro no?” rispondo prontamente. Sorridono e il più loquace replica: ”Noi l’abbiamo vista solo alla grotta no?”. Mi salutano e mi augurano un buon proseguimento, raccomandandomi prudenza sul letto del torrente. E’ ancora il più loquace che aggiunge:” Io l’ho percorso decine di volte eppure una volta sono scivolato e mi sono rotto due costole! L’Eremo risale circa all’anno mille, costruito dai monaci Benedettini. Qui eressero il loro povero convento e costruirono la cappella in stile gotico romano (anno 1234) dedicata a S.Egidio. Successivamente arrivarono i Fraticelli Clareni, i quali reintitolarono la cappella dedicandola a "Santa Maria Maddalena de Specu". Il convento si sviluppava su due piani, la struttura arrivò ad ospitare fino a 16 frati. Luogo di ritiro e di difesa, restò attivo fino ai primi del 1600. Si tratta dunque di un eremo di dimensioni notevoli, abitato da numerose persone, sicuramente la sorgente nei pressi della cisterna era molto più attiva di oggi. Tutto intorno dovevano esserci orti e piante da frutto. Oggi la struttura è stata restaurata e vi vengono celebrate tre messe l'anno: il lunedì dell'Angelo, la prima domenica di Ottobre ed il giorno di Santo Stefano. Entrando, sulla sinistra, c'è un altare alla cui base sono state deposte preghiere ed ex-voto, davanti invece, delimitato da una transenna in legno, c'è una cisterna per l'acqua. Accanto alla statua di San Francesco, un libro per lasciare traccia del proprio passaggio. Ora c’è anche il mio messaggio con la firma: folletto-che-salta-sulle-vette  All'interno, sulla destra c’è invece una piccola chiesa dedicata a S. Egidio formata da un arco ogivale con cuspide triangolare e a sinistra di questo un piccolo presepe. Il tutto ricorda l'austerità e la semplicità della vita monastica ed eremitica. Mangio un panino e riparto. La pausa, complici le chiacchiere, è durata 35 minuti, ma del resto mi ha fruttato un prezioso salvacondotto  Proseguo, seguendo il consiglio degli amici marchigiani conosciuti all’Ortanza, verso monte. Il sentiero continua infatti a picco sulla valle e raggiunge un’altra grotta tramite una breve e stretta cengia attrezzata con una corda d’acciaio. Di piccole dimensioni e non molto alta, vi spicca una piccola statua della Madonna. La cavità è conosciuta come Grotta dei partigiani, perché qui se ne rifugiarono alcuni durante i rastrellamenti da parte dell'esercito nazista. Guardando in basso vedo degli escursionisti intenti a risalire il corso del fiume. Bene, non sono il solo a cimentarmi con la corrente del Fiastrone oggi, o almeno così credo per il momento.


Terzo Incanto: Gole del Fiastrone


Torno indietro fino al bivio precedente e scendo a sinistra (sentiero 336) verso il fiume. Il rumore della corrente comincia a sovrastare i suoni della natura. In circa dieci minuti raggiungo l’alveo (m. 475) dove tolgo gli scarponi per mettere gli stivali da giardiniere alti fino al ginocchio. Da qui comincia il sentiero 342 che sostanzialmente segue il corso del Fiastrone in risalita. Attraverso il torrente, e subito mi accorgo dell’errore di valutazione. Gli stivali sono già pieni di acqua al primo guado. Mi fermo nuovamente e secondo pit stop. Tolgo gli stivali, sistemo gli scarponi nello zaino e metto i sandali. I due pit stop mi hanno fatto perdere un quarto d’ora. Sono già le 14.30 e devo arrivare alla macchina per le 16.00 perché poi mi aspetta un’ora e mezza di viaggio in macchina per percorrere i circa 60 km per Foce. Cammino qualche decina di metri sulle rocce che costeggiano il fiume, dopodichè non c’è più alternativa e si è costretti quasi sempre a camminare lungo il letto del fiume con l’acqua che quando è bassa arriva al ginocchio. L’acqua ovviamente è gelida. Sento venir meno la sensibilità ai piedi e la cosa mi preoccupa. Intanto vedo tornare indietro con fare deluso, gli escursionisti del Cai precedentemente avvistati dalla grotta. Dicono che non è possibile proseguire, perché l’acqua è alta fino al bacino. Aggiungono inoltre che sarebbe vietato risalire il fiume, loro hanno un permesso speciale! “E io ho il salvacondotto delle guardie forestali, tiè!!!” vorrei risponder loro, ma non è proprio il caso, quindi replico: “A questo punto vado avanti finchè si può, eventualmente tornerò indietro”. Ma in realtà penso: “Col caxxo! Io arriverò fino in fondo, è un anno che aspetto questo giorno!” Procedo sul greto del torrente, passando da una sponda all’altra, in breve sono all’antro della forra, una prima stretta rocciosa. Da qui comincia lo spettacolo del canyon, tra alte e a volte strette pareti di rocce e felci gocciolanti, con le caratteristiche “pisciarelle” che oltre a bagnarmi la testa mi impediscono di scattare foto. Ma le difficoltà sono molteplici. Innanzitutto la forza della corrente. Devo sbrigarmi a poggiare il piede, altrimenti mi torna indietro! Inoltre i raggi del sole si riflettono sull'acqua e non mi consentono spesso di vedere dove poggio il piede. Il fondo del fiume è pieno di sassi di ogni grandezza, devo aiutarmi con le bacchette per non scivolare. Mi tornano in mente tre paroline della guardia forestale: “due costole rotte”. E io a questo punto sono solo, solissimo. E’proprio il caso di dire che non posso permettermi passi falsi. I sandali da trekking si rivelano un' ottima scelta, mi danno sufficiente aderenza sulle rocce, anche se l'anno scorso avevo fatto rincollare le suole dal calzolaio...reggeranno? Non è che mi piace il rischio gratuito, è che non credevo di rimanere quasi un'ora con i sandali ai piedi, pensando di poter utilizzare gli stivali. Devo anche fare attenzione allo smartphone che tengo nella tasca del k-way, perchè l'acqua ci arriva. In diversi punti devo ripiegare la parte bassa del k-way all'insù, bloccandolo con le stringhe dello zaino, per evitare che il mio unico apparecchio tecnologico si bagni. Ah, lo smartphone mi serve per le foto e i video, visto che ovviamente quaggiù non c'è alcun segnale. E da fotografare e filmare c'è davvero tanto: gole strettissime e vertiginose, cascatelle incantate, le famose "pisciarelle" ovvero rivoli d'acqua che sembrano cadere dal cielo (spesso sulla mia testa), i riflessi della lussureggiante vegetazione sulla superficie del fiume... Stamattina il paradiso delle Rocce Rosse, ora il paradiso dei giochi d'acqua. Oggi l'incanto sembra non finir mai!! Nel frattempo, sarà l’acclimatazione o le preoccupazioni che mi distraggono, non bado più all’acqua gelida. Procedo lentamente, calcolando quando posso dove e come poggiare il piede per non scivolare. Quando non ho visibilità, poggio il piede alla ceca, con un movimento a rallentatore per tastare l’aderenza sul letto del fiume, e verificare così che non ci siano rocce che mi facciano prendere storte. Incredibile come ogni singolo passo fatto, mi sembri una vittoria. Sono però preoccupato dal tempo che passa, perché non immaginavo di procedere così lentamente; del resto non posso permettermi rischi, accelerando il passo; devo necessariamente rimanere freddo…proprio come i miei piedi congelati  Dopo un'ora e 10 di fatica e suspence...arrivo ad una bella cascatella e vedo la restante parte del gruppo Cai (che è arrivato lì dalla direzione opposta, direttamente dal sentiero attraverso il bosco che proviene dalla diga). Allora vuol dire che sono alla fine…ce l'ho fatta! Caccio un grido di liberazione che rimane coperto dal rumore della cascata. E mentre urlo con la stessa foga di Tardelli nell’82, prendo consapevolezza di quanta cavolo di adrenalina avessi accumulato!!! L'anello cominciato dalla diga alle 11.00 di mattina, passato per le Lame Rosse e per l’Eremo dei Fraticelli è quasi completo. Sono le 15.42....vedo quelli del cai che mi fissano sorpresi senza dire nulla e colgo sguardi interdetti tra loro come a dire: “e questo nda do viene?” Saluto i simpatici escursionisti, passo tra loro per imboccare il ripido sentiero lungo il Fosso della Regina, e via di corsa sempre con i sandali ai piedi, attraverso la Val di Nicola (stesso sentiero dell’andata). Alle 16.20 arrivo alla macchina, dopo aver attraversato ancora una volta la diga, non senza qualche scatto alla stupenda distesa del lago, che nel frattempo ha mutato colore verso una tonalità verde acqua. I miei amici Davide Christian Marco Antonio Elisa, mi stanno aspettando a Foce per una due giorni sulle creste dei Monti Sibillini !!! Sono ancora solo all’inizio di questo weekend magico e già mi sento a 1000! Anzi a 2000!!


Pensate che l'avventura sia pericolosa? Provate con la routine....è letale.

ALCUNI DATI TECNICI:


Tempo totale escursione: 4.50 ore (pause comprese)

Tempo in cammino stimato: 2.50 ore

Distanza totale stimata: 13,5 km

Dislivello totale stimato: circa 700

Altitudine diga: 650

Altitudine massima: circa 900

Altitudine minima: 475 m (greto del fiume, a valle della grotta dei frati)

L'intero percorso è privo di sorgenti o fontanili.